TIM scatta in Borsa, firmata la lettera di intenti tra le parti
Avvio in positivo per TIM che tocca un massimo intraday a €0,2940 per poi scendere a 0,2870 (sempre +2,30%) sulla scia della notizia di un accordo sull’integrazione della sua infrastruttura di fibra ottica con quella della rivale OpenFiber. Dopo mesi di trattative inconcludenti, sembra che finalmente si possa iniziare il tanto sperato progetto di una rete unica di trasmissione dati VHCN (Very High Capacity Networks) che sia competitiva e serva l’intero paese.
La lettera di intenti, denominata MoU (Memorandum of Understanding) e firmata anche dal fondo australiano Macquarie e dal pioniere statunitense del private equity KKR, stabilisce che si debba completare l’integrazione in un’unica società entro il 31 ottobre dell’anno in corso.
Dunque, questo documento segna una svolta per l’ex monopolista TIM. Infatti, la discordanza di interessi tra le parti in causa - i due fondi esteri e CDP - aveva prolungato a dismisura l’iter dell’operazione.
I precedenti dell’operazione
In breve, l’ingarbugliata situazione può essere riassunta così: la società di TIM attiva nella fibra ottica (FiberCop) è partecipata - tra gli altri - da KKR (azionista al 37,5%) e Cassa Depositi e Prestiti (al 9,9%) mentre OpenFiber, la società creata da Enel nel 2015, vede come azionisti Macquarie (al 40%) e CDP (al 60%). L’intento sarebbe quello di integrare le due società - entrambe impegnate nello sviluppo di un’infrastruttura in fibra ottica - per poter implementare ed accelerare la digitalizzazione in Italia.
Come sempre quando ci sono troppi interessi di mezzo, trovare un accordo può risultare difficile e prolisso. Tuttavia, la lettera d’intenti firmata questa mattina sembra essere un buon punto d’appoggio per sviluppi futuri su un asset così fondamentale per l’intero paese.
Il dossier è infatti uno tra i più caldi per un motivo meramente finanziario. Infatti, nel 2021 TIM ha registrato dall’affitto della sua rete ben €2,2 miliardi di margine operativo lordo (cioè circa la metà della redditività dell’intero gruppo). Il consensus stima, inoltre, che la nuova società in cui confluirà la rete possa sostenere un EBITDA atteso di €1,5 - €1,7 miliardi oltre a dover sostenere un debito molto inferiore a quello attuale (€22 miliardi).
I più ambiziosi, invece, sperano che dopo l’operazione Telecom Italia possa addirittura ritornare al dividendo dopo che - quest’anno - la società ha tagliato la cedola (anche per le azioni di risparmio) per far fronte ad una profonda ristrutturazione di bilancio.
Il futuro della nuova società
Dunque, se l’operazione andrà a buon fine, TIM resterà definitivamente esclusa dalla nuova società della rete unica. Si procederà dapprima con una separazione tra il segmento delle attività infrastrutturali di TIM e la sua divisione commerciale, per poi far confluire la prima nella rete controllata da OpenFiber e così creare una nuova entità societaria. La nuova società sarà controllata da Cassa Depositi e Prestiti (CDP Equity) e sarà partecipata dai due fondi Macquarie e KKR. Gli accordi vincolanti dovranno essere firmati entro il 31 ottobre 2022.
Quali sono le previsioni sul titolo?
L’accordo al momento non è vincolante quindi non vi è certezza sulla reale attuazione dei piani prefissati tra le parti, sull’approvazione dell’Antitrust e sui possibili problemi derivanti dai sindacati. Tuttavia, dopo mesi di stallo, questo è sicuramente un primo fattore positivo per la creazione della tanto sospirata rete unica. In Borsa, il titolo Telecom Italia rimane comunque a livelli da penny stock ma ulteriori sviluppi sul fronte della rete unica potrebbero favorire importanti rialzi di prezzo nel medio/breve termine.
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Com’è noto, una settimana fa il fondo infrastrutturale americano Kkr ha presentato una proposta di offerta per l’acquisto di Tim. Alla notizia, la reazione del titolo in borsa è stata molto buona (+30%) mentre il socio di maggioranza relativa, Vivendi (23,9% delle azioni), ha giudicato insufficiente l’offerta degli americani.
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Da par suo, il Governo – per il tramite del titolare del Mef Daniele Franco – ha emanato una nota in cui si è avvertito un certo apprezzamento, confermato in settimana dal Premier Mario Draghi, e la volontà di non ostacolare l’operazione: in buona sostanza, l’esecutivo ha preso atto di un’offerta che proviene da un “investitore qualificato”. Dopodiché la nota ha rimarcato che Tim è la società che detiene la parte più rilevante dell’infrastruttura di telecomunicazione del Paese, e che di conseguenza il Governo valuterà attentamente la situazione anche in ragione delle sue prerogative (la Golden Power).
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La notizia si è presentata come un fulmine a ciel sereno. Inoltre, Kkr è un interlocutore con alcune particolarità significative: è americano, ha in gestione oltre 400 miliardi (circa un quarto del nostro Pil), è già presente nel pacchetto azionario di FiberCop proprio insieme a Tim e a Fastweb. Di certo sappiamo che Tim ha bisogno di un’iniezione di denaro, la situazione è davvero critica. L’indebitamento è stimato attorno ai 21 miliardi e le marginalità lorda attorno ai 7. Dopo l’offerta di KKR il titolo ha registrato un balzo significativo, ma a fine ottobre valeva 0,32 euro. Consideriamo che nel 2015, quando Vivendi diventava azionista di maggioranza acquisendo il 23,9%, il titolo era quotato a 1,08 euro. Quando nel ’97 il Governo italiano decise di cedere Tim, nello stesso periodo il Governo spagnolo cedeva Telefónica. All’epoca Tim valeva il 30% in più di Telefónica, oggi ne vale la metà. Questo ci dice di quale performance negativa si è resa protagonista l’azienda.
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Non è semplice prevedere come l’operazione potrà concludersi, vi è infatti qualche incognita, ma Draghi non pare estraneo a questa situazione. La sensazione è che l’operazione evolverà. A ogni modo, è un’evoluzione che può presentare caratteri di positività per l’interesse nazionale. L’azienda è in seria difficoltà e ha bisogno di una restart. Quindi, un investitore qualificato che si presenta con un’offerta è il benvenuto. Il punto vero, tuttavia, è che il Governo – proprio attraverso il potere speciale della golden power a cui è già ricorso in altre occasioni – può determinare un equilibrio importante.
Da questo punto di vista, è interessante notare che lo stesso fondo, quando ha presentato l’offerta, l’ha subordinata al gradimento del Governo italiano. Naturalmente, in Kkr sanno che esiste la golden power; il punto è un altro, in Kkr sanno che col Governo italiano dovranno negoziare alcune condizioni imprescindibili. Teniamo presente che stiamo parlando di una delle infrastrutture su cui poggiano gli investimenti del Pnrr.
Come può evolvere dunque la situazione? Intanto, come si è appreso nella serata di venerdì a seguito del cda di Tim, Luigi Gubitosi ha rimesso le deleghe, come voleva Vivendi. Pietro Labriola è il nuovo Direttore generale. È uomo piuttosto apprezzato da Vivendi e manager capace di sviluppare business (Tim Brasil). Vivendi ha avuto quel che voleva e Kkr rivedrà la sua offerta, in modo che Vincent Bolloré darà il suo placet. In secondo luogo, il Governo potrebbe riportare a casa la rete oppure rafforzare la presenza di Cdp nel pacchetto azionario.
A ogni modo, non è questo un assestamento sufficiente a dare una prospettiva di ripresa a un’azienda a un passo dal default. Tim ha bisogno di una svolta industriale prima che di business. Non mancherà qualche ulteriore sviluppo, in particolare al vertice. Vittorio Colao, che nel suo ruolo di ministro dell’Innovazione tecnologica non sta particolarmente brillando, potrebbe ritrovare il suo ruolo naturale dato che è stato un’ottima guida per Vodafone. Inoltre, proprio ieri si è appreso del possibile avvicendamento del Presidente Salvatore Rossi con una vecchia conoscenza del mondo delle Tlc come Massimo Sarmi, Presidente di FiberCop e di Asstel. A caldeggiare la candidatura è il ministro dello Sviluppo economico, Giancarlo Giorgetti. Tuttavia, non è escluso che nel proseguo dell’operazione si scopra un player del settore.
Twitter: @sabella_thinkin
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